Grovigli

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Testi di Angela Pellicanò – Mostra Personale “Tre Sale Cablate”

“L’arte è una ferita che diventa luce” affermava Georges Braque.
Le opere di Minoliti si riconoscono in questa visione, trasformando le ferite dell’esistenza in lampi di luce che possono illuminare il cammino ma anche ferirci mostrandoci una verità non filtrata.
La sua arte svela la bellezza nascosta  nella consunzione degli oggetti, ci ricorda che la vita è un gioco assurdo e grottesco, assiepata tra matasse di nervi e filamenti miologici e impara la libertà ridendo o aggredendo volumi  pressati nelle teche o tra le impenetrabili e ambigue forme.
Più si avvicina la forma, più si allontana il soggetto. Più si allontana il soggetto, più la capacità di non farsi ingabbiare, opera  su qualcosa che va oltre il sé Minoliti.
Di questo groviglio si nutre l’opera dell’artista; da questa ambizione nascono le sue opere. Il latente affiora e si palesa in forma, mentre lui cede alla resistenza e spinge il limite verso una deviazione che lo rende capace  di testimoniare con slancio ciò che ha organizzato assemblando materia, spirito, peso, gravità, speranza, fatica.
Il progetto di “cablaggio delle tre sale” non è pertanto uno stratagemma estetico, è un’esperienza di ridefinizione dello spazio mentale.  E tuttavia, la metafora fatta di lavoro e simboli, viene disinnescata, compromessa, alterata da quella difficile ironia che aleggia tra le opere. Il filo usato lega tutto il percorso nonostante abbia capo e coda vincolati alle piccole o grandi superfici.
Un non finito aleggia in ogni sala e invita a “correre sul filo” che allude al passaggio, allo stadio successivo. Costruita la memoria di tensione passando da forme rassicuranti a suture anestetizzate dalle monocromie, l’artista agisce come se tutto fosse ancora possibile, come se tutto deve ancora accadere; immagini e silenzio convergono verso una nuova modalità di linguaggio cablato, interconnesso. Dolore e indifferenza, armonia e caos, e così via, estremi lembi di sopravvivenza si toccano, si innescano.
In questo caos di intrecci tra fragilità esistenziale e bulimia vitale, le opere d’arte emergono come un balsamo per l’anima, una pausa necessaria che ci permette di connetterci ai nostri simili, alla natura, al  costante precipizio  su cui operare meccanismi di equilibrio.
Utilizzando vecchi cavi per antenne televisive come materiale principale, l’artista trasforma gli oggetti obsoleti in potenti mezzi espressivi. Il cablaggio, inteso come forma artistica di impegno, come esercizio di collegamento e  sollecitazione al dialogo  tra umani.
I fili conduttori, artefici di una narrazione visiva che affonda le radici nell’essenza stessa dell’essere, si intrecciano e si deformano, simulano forme organiche e sinuose, ricordano la struttura di tessuti biologici o di sistemi circolatori.  
È l’artista che modella questi elementi, dando nuova vita e un nuovo significato, è lui che seleziona codici di nuove scritture; e non è più semplice manipolazione di materiali, è  gesto consapevole e poetico che ci invita all’introspezione e all’esternazione. L’artista non si limita a manipolare la materia, ed il risultato è un’arte viva, pulsante, a tratti cinica, mai debole.
Cavi, un tempo simbolo di connessioni con il mondo esterno, transito immaginifico, semplicemente, una volta dismessi, diventano dispositivi di volontà contro estetiche dominanti  e omologazione.  Cosa significa essere connessi oggi ha la stessa valenza dell’ esserne consapevoli.
È l’artista che dichiara il suo diritto a modificare  lo spazio e la forma usando processi  generativi e provocatori.

Angela Pellicanò
Technè Contemporary Art Gallery
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